PSICOTERAPIA E DISABILI: una nuova frontiera dell’intervento strategico integrato.

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PSICOTERAPIA E DISABILI:
una nuova frontiera dell’intervento strategico integrato.
di Giusi Passalaqua

 

PREMESSA
Questo lavoro nasce dalla mia collaborazione e
dall’esperienza fatta presso un ambulatorio di nefrologia
– dialisi. Esperienza molto positiva dalla quale
emerge,la richiesta da parte della struttura,di avere un
supporto psicologico per gli operatori del servizio, per
il paziente e per i propri familiari. Riflettendo,sulla mia
formazione di terapeuta strategica integrata ho capito
che, nonostante le numerose difficoltà che l’argomento
presenta, avrei preparato un progetto su una tematica
così delicata e complessa al tempo stesso; un progetto
rispondente in tutto e per tutto alla mia formazione
di psicoterapeuta. Formazione che dà la possibilità di
scegliere la strategia di lavoro migliore per raggiungere,
nella maniera più efficace, la risoluzione dei problemi.
Partendo proprio dalla focalizzazione del problema
portato dal cliente, l’approccio di terapia breve si focalizza
sulle soluzioni, utilizzando metodologie postrutturaliste
come l’approccio narrativo, sistemico-relazionale,
cognitivo –comportamentale.
La psicologia è uno strumento duttile che,può fornire
risposte e risoluzioni in molti ambiti, comportamenti e
dinamiche umane. L’inserimento dello psicologo in una
realtà ospedaliera o in un ambulatorio, è quello di operatore
della salute, soprattutto in termini di prevenzion
e,informazione,sostegno,cura. Per questo, la figura dello
strategico integrato aderisce appieno alle esigenze e
alle richieste della nuova società, del malato cronico, del
malato di reni che ha bisogno di un neurologo e di uno
psicologo, visto che il problema riguarda il rene, la persona
e la personalità del malato che può influire sull’andamento
della malattia e della cura. Inoltre lo strategico
integrato funge da supporto per il personale sanitario,
oltre che per il paziente stesso. L’ intervento strategico
può garantire ai malati risposte per i loro bisogni emotivi
e psicologici e agli operatori un aiuto concreto per
riportare in

PREMESSA
Questo lavoro nasce dalla mia collaborazione e
dall’esperienza fatta presso un ambulatorio di nefrologia
– dialisi. Esperienza molto positiva dalla quale
emerge,la richiesta da parte della struttura,di avere un
supporto psicologico per gli operatori del servizio, per
il paziente e per i propri familiari. Riflettendo,sulla mia
formazione di terapeuta strategica integrata ho capito
che, nonostante le numerose difficoltà che l’argomento
presenta, avrei preparato un progetto su una tematica
così delicata e complessa al tempo stesso; un progetto
rispondente in tutto e per tutto alla mia formazione
di psicoterapeuta. Formazione che dà la possibilità di
scegliere la strategia di lavoro migliore per raggiungere,
nella maniera più efficace, la risoluzione dei problemi.
Partendo proprio dalla focalizzazione del problema
portato dal cliente, l’approccio di terapia breve si focalizza
sulle soluzioni, utilizzando metodologie postrutturaliste
come l’approccio narrativo, sistemico-relazionale,
cognitivo –comportamentale.
La psicologia è uno strumento duttile che,può fornire
risposte e risoluzioni in molti ambiti, comportamenti e
dinamiche umane. L’inserimento dello psicologo in una
realtà ospedaliera o in un ambulatorio, è quello di operatore
della salute, soprattutto in termini di prevenzion
e,informazione,sostegno,cura. Per questo, la figura dello
strategico integrato aderisce appieno alle esigenze e
alle richieste della nuova società, del malato cronico, del
malato di reni che ha bisogno di un neurologo e di uno
psicologo, visto che il problema riguarda il rene, la persona
e la personalità del malato che può influire sull’andamento
della malattia e della cura. Inoltre lo strategico
integrato funge da supporto per il personale sanitario,
oltre che per il paziente stesso. L’ intervento strategico
può garantire ai malati risposte per i loro bisogni emotivi
e psicologici e agli operatori un aiuto concreto per
riportare in primo piano l’attenzione verso la persona
malata, di cui è necessario prendersi “cura”.
Quindi l’intervento strategico integrato ha l’obiettivo di
essere uno strumento messo a disposizione dei pazienti, dei familiari e degli operatori per ampliare le proprie
capacità personali e umane, che sono un’importante
risorsa per tutti durante l’esperienza di malattia.
1. LA NEFROLOGIA.
La Nefrologia è un reparto di degenza che fa parte
dell’unità operativa di Nefrologia e Dialisi. Si occupa della
diagnosi e cura delle malattie renali primitive e secondarie
e dell’ipertensione arteriosa. Durante la degenza i
pazienti, ogni mattina, a digiuno e possibilmente con lo
stesso tipo di indumenti, vengono pesati. Inoltre, viene
controllata e misurata tutta l’urina prodotta nelle 24 ore;
vengono effettuati i prelievi ematici, di norma eseguiti
prima di colazione, dall’infermiere che ha svolto il turno
di notte; vengono effettuati di prassi tre volte al giorno,
salvo cause di forza maggiore, i controlli della pressione;
viene effettuata ad orari predefiniti la misurazione della
temperatura. Le principali indagini strumentali eseguite
in Nefrologia sono: elettro-cardio-gramma, radiografia
del torace, stratigrafia delle ombre renali, ecografia
renale, biopsia renale, scintigrafia renale, arteriografia,
cistografia, fondo dell’occhio che permette di valutare
le arterie e le vene della retina e ci permette di avere
delle informazioni sulla circolazione generale, A. B. P. M.
(monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa),
che si esegue con un apparecchio automatico che misura
periodicamente la pressione durante la giornata.
Altre importanti notizie sono la distribuzione del vitto,
che per questo tipo di pazienti, si atterrà a norme dietetiche,
non dettate dal buon senso ma da professionisti
competenti.
2. L’IDENTIKIT
DEL PAZIENTE NEFROPATICO.
Nella sua complessità si colloca in una serie di momenti
di malattia differenti che possono comportare connotazioni
psicologiche diverse.
Volendo schematizzare le principali fasi della insufficienza
renale cronica, si possono distinguere, in grandi linee, i seguenti momenti:
Condizione predialitica
In questa fase si deve incentrare il lavoro sull’aspetto
psicologico della persona in stato di predialisi, che si
appresta quindi ad intraprendere il cammino difficile
della dialisi e si deve assicurare la scelta consapevole
del trattamento dialitico ( in mancanza di controindicazioni
cliniche specifiche ).
La dialisi modifica radicalmente le abitudini del soggetto
e del suo nucleo familiare e questo comporta crisi
d’identità, difficoltà sul piano relazionale, necessità di
elaborare una nuova descrizione del proprio mondo,
cambiare abitudini di vita e di lavoro. Ne deriva l’esigenza
di fornire al paziente e ai suoi familiari una guida
ed un supporto per la scelta del tipo di trattamento da
eseguire. In questa fase al paziente devono essere assicurati
interventi finalizzati alla scelta del trattamento.
Condizione dialitica in età compatibile con l’aspettativa
di trapianto
Condizione dialitica in età al limite della compatibilità
con l’aspettativa di trapianto
Condizione dialitica in età non compatibile con il trapianto
Gli aspetti psicologici connessi alla condizione dialitica
sono fortemente correlati all’età anagrafica del paziente,
oltre che all’età dell’esordio della patologia. Inoltre
va considerata quella fascia di pazienti trapiantati per
i quali la riacquisizione dell’autonomia rispetto alla
“macchina” permette condizioni psicologiche ed aspettative
diverse dal paziente dializzato, aspettative che
comunque incidono sulla qualità di vita del paziente.
Come si vede, la componente psicologica del paziente
nefropatico è non solo molto importante, ma estremamente
variegata. La specifica condizione contestuale e
clinica, in cui si trova a vivere il paziente dializzato, fa osservare
alcune modalità comportamentali ed emotive
che possono costituire importanti indici di valutazione
della sua qualità di vita, nonché del rapporto che viene
ad instaurarsi nel tempo tra il paziente ed il suo status
di dializzato. Per questo motivo il lavoro in oggetto
prende in considerazione lo studio di alcune variabili di
natura psicologica, la cui intensità e presenza costituiscono
importanti indici della Qualità di Vita del paziente
nelle varie fasi del trattamento emodialitico.
odolore venis dit ilis am, verci bla facidui eugiam endigniam,
velendreet luptatin henim dunt ulla feumsan
henit volutatum dolor atet aliquate doluptatem er iriusci
tisi tatue tatum inisl duis adionsectem vel et, quamet
dolutatummod elessisi.
Tum et la facilla feu faciduisi.
Andreet lute ming ese faci tet ipsusto od et, commy
nullam adionse consenim alit amconum molutpat, corTum et la facilla feu faciduisi.
Andreet lute ming ese faci tet ipsusto od et, commy
nullam adionse consenim alit amconum molutpat, cor
si tio er sumsandre magnim irit utpat atuerit, ver sum
dolenim volorperit iriliquat. Olorem nibh et augiamet
at. Hent do dip eummodiam, sum in ulputatum atet
ametue dit atueros tionsed magna feummolore magnim
quis nulput venim venim vulla aut dignim iure eu
facidunt lam iustrud ero dolobortio odio core ming eugiam
quisl exerosto odignis dolobortie te magna cortie
faci tismolore ting eugait veraesecte dunt alit autpat.
Endrem zzrit lut wiscidui bla facipis elisi.
Si tin eum exer sed ting et, vel dunt ipit wis eu faccumsan
henim vullan henibh essi bla aliquis augiat augait
at. Wis dolor si.
Modiametum venim dolorting endrem doluptatin ut
lan enissit atuerci ncillaore molore ent er at. Duipisit
delit et dolorem vullutpat. Ut nulla facinci bla feu feu
faccum in heniam vullandreet, quisl ut illan erci essit
ad euisisl il et, sed modigna aliquisit, consectem dolesto
odolore faccum vel diam zzrilit ulput luptatum ex
el eugait velestrud te min veliquis am amconsequi ea
faci eleniat do con utat, quatism odipsum dolor ing ex
exerat, consenim ipsum estie faci te tat.
Oborem dolutpat. Lam zzriure magnim do exerate faci
ex eraese vent dit, sim del iriusciduis nostrud el deliqui
sissequam zzriusto commy nulputpat. In exer in ver secte
eugait, quis nisi.
Del utpat, velesto odipsuscip el ero dio odo consequipis
augait incincilla faccum dio et, con ero od mod dolumsan
ent wisis doloboreet wis aliquatio dui euiscinit landre
faci ea aciliquipit la con utpatis cidunt laore
3. L’ADATTAMENTO DELLA QUALITà
DELLA VITA DEL PAZIENTE.
L’essere in terapia dialitica è una condizione che modifica
radicalmente la Qualità di Vita del soggetto dializzato.
La convivenza con una patologia cronica, infatti, si traduce
per i pazienti in una “esperienza di malattia” che,
oltre agli aspetti organici, coinvolge anche dimensioni
emotive e psicosociali.
Il cambiamento delle abitudini di vita, la dipendenza da
un “oggetto esterno” per la sopravvivenza e la cronicità
della patologia possono portare i pazienti che hanno
precari equilibri psicologici e sociali ad assumere atteggiamenti
reattivi (depressivi, di rinuncia, chiusura,
eccesso di ansia) che nella clinica si traducono in riduzione
nella compliance al trattamento e aumento dei
ricoveri impropri. Il paziente dializzato si trova di fronte
ad un cambiamento che investe ogni sfera di vita (familiare,
sessuale, lavorativa ecc.) e che richiede un notevole
sforzo di adattamento e di ridefinizione di sé per
far fronte alla ridotta funzionalità fisica, problematicità
queste che gli operatori devono fronteggiare parallela-mente al già complesso trattamento medico. Ogni sfera
della quotidianità dei pazienti risulta scandita dal “ritmo
dialitico”, soprattutto per i soggetti in trattamento
emodialitico.
La tendenza a valori di criticità, minori nei pazienti sottoposti
a dialisi peritoneale, è interpretabile con una
maggiore adattabilità del trattamento ai ritmi di vita
dell’individuo, che autogestisce la dialisi e percepisce
un maggiore “controllo” sulla terapia. Il soggetto in
emodialisi è invece costretto ad adattare i propri ritmi
agli appuntamenti con l’ospedale, con la macchina,
con la vita. Il trattamento ha inoltre ripercussioni forti
a livello fisico e il paziente, non potendo fare più affidamento
su alcune delle proprie funzioni vitali, deve ridefinire
la propria immagine attraverso l’annessione al
proprio schema corporeo di una “protesi esterna” da cui
dipendere. In tal senso è emerso come possa risultare
fondamentale, una volta diagnosticata un’insufficienza
renale cronica (IRC), un accompagnamento del paziente
verso la terapia che riduca la problematicità dell’area
in questione prendendosi cura del processo di rimodellamento
dell’immagine di sé attraverso alcuni passaggi
chiave: presa di coscienza della malattia, accettazione
della necessità di cure, prefigurazione del trattamento
dialitico nel suo complesso (con particolare riferimento
all’immagine corporea) ed infine l’integrazione della
dialisi nel proprio stile di vita.
Nonostante le criticità dei pazienti, è possibile formulare
un intervento volto a migliorare la qualità della
loro vita, ad aumentare la compliance terapeutica e a
ridurre le difficoltà riscontrate dagli operatori coinvolti
nel servizio di dialisi, uno dei più colpiti dal fenomeno
del burnout. Le variabili importanti, quindi, da tenere in
considerazione al fine di migliorare la qualità della vita
del paziente dializzato sono: Sonno, Sessualità, Età Anagrafica,
Età Dialitica, Età di Esordio. Importanti da considerare
sono anche alcune modalità comportamentali
ed emotive: ansia, depressione, adattamento alla malattia
e compliance terapeutica, che contribuiscono a migliorare
la Qualità di Vita del paziente dializzato.
L’osservazione di ciò fa ipotizzare che tra la percezione
della malattia e le condizioni oggettive dello stato di
malattia possa esistere un gap significativo legato alla
variabilità dell’adattamento soggettivo del paziente,
adattamento che è in funzione dell’età, del sesso, delle
risorse personali, delle condizioni socio-economiche e
culturali e delle caratteristiche della personalità di base.
L’adattamento avviene attraverso l’elaborazione della
depressione; il paziente, fatta un’analisi di realtà, accetta
il trattamento cercando di sfruttare al meglio le sue
potenzialità.
Nel paziente dializzato i bisogni si presentano con diversa
intensità o con diverse modalità e rispondervi richiede l’utilizzo di più e diversificate risposte. Spesso il
bisogno non manifesto (in molti casi situazioni d’ansia
o di depressione legati alla patologia possono nascondere
bisogni o richieste d’aiuto), il dipendere per tutta
la vita da una macchina, può far scattare nel paziente
meccanismi di difesa che potrebbero fuorviare la risposta.
E’ a questo livello che si gioca la professionalità
e la responsabilità dell’Infermiere in Nefrologia, del
Medico e dello Psicologo, che con le loro conoscenze
devono saper valutare ogni singolo caso, individuare la
domanda, effettuare un’attenta raccolta dati, scegliere
le azioni finalizzate al risultato da raggiungere, il trattamento
tecnico specialistico, il tipo, la qualità e quantità
delle prestazioni e assumersi la responsabilità di tutto
il processo per raggiungere l’obiettivo di fornire la più
alta qualità di vita ed il più alto grado di tollerabilità al
trattamento dialitico.
4. IL TRATTAMENTO STRATEGICO
INTEGRATO IN NEFROLOGIA.
Per affrontare la prima richiesta dell’ambulatorio di dialisi
ho sviluppato un progetto di intervento più ampio e
articolato che prevede:
4.1 CONSULENZA DI PROCESSO
Per strutturare il progetto ho chiesto al committente in
che contesto mi inserivo quindi un paio di incontri sono
serviti per un’indagine conoscitiva volta a:
• conoscere l’ambulatorio, (rete e struttura)
• conoscere il personale sanitario,
(Organigramma:medici, infermieri, ausiliari, segretarie)
• conoscere i pazienti, (orari, posti fissi, cosa agevola
l’adattamento dei pazienti ad una terapia sostitutiva
che, salvo i casi in cui è possibile un trapianto di
rene, è per il resto della vita.)
• conoscere i familiari
4.1.1 Modalità della consulenza.
Presentazione alla struttura del terapeuta strategico in-tegrato.
Inserimento ad una riunione dello staff, quindi tutto il
personale sanitario e non.
Inizialmente partecipo come osservatrice alle riunioni
organizzative dello staff, alle riunioni dell’area dirigente
e vedo come interagiscono tra di loro le varie figure.
Valutata e analizzata la situazione, dopo 2 incontri, chiarisco
il significato della presenza dello psicologo strategico
integrato: i disturbi renali fanno parte di quelle
malattie croniche che presentano caratteristiche che
possano giustificare eventi quali ansia, depressione,
paure. Tali fenomeni, non coinvolgono soltanto il malato,
ma l’intero nucleo familiare e tutto il personale sanitario
che gli sta vicino. E’ bene quindi esserne coscienti
e affrontare ciò al fine di superarli insieme.
4.1.2 Strumenti della consulenza.
• Osservazione
• Incontro con ampio spazio alle domande e alla discussione
(emerge in modo evidente che là dove la
famiglia non risulti in grado di contenere l’ansia del
dializzato, questi rivolga, a volte eccessivamente, le
proprie istanze allo staff del servizio nefrologico.)
• Colloqui psicologici individuali rivolti al personale
sanitario
• Test sulla valutazione dello stress
4.1.3 Obiettivi della consulenza di processo.
Committenza e target. Capire come mai questa richiesta
adesso; capire il motivo manifesto e il motivo latente
per cui è stata fatta questa domanda.
4.1.4 Durata complessiva.
2-3 incontri
4.2 Lavoro con i paziente e familiari della
consulenza di processo
Desiderando realizzare un corretto inserimento del paziente,
la prima cosa da considerare è il momento in cui
si comunica al soggetto la necessità dell’intervento dialitico.
Per affrontare questo tipo di problemi propongo
incontri individuali e di gruppo finalizzati a raggiungere
due macrobiettivi:
• mantenimento dell’integrità psichica
• mantenimento dell’integrità sociale.
4.2.1 Modalità del lavoro con familiari e pazienti.
• Colloqui individuali e di gruppo
Il colloquio individuale con lo psicologo ha l’obiettivo
di lavorare per l’accettazione della malattia cronica. Si
considera il desiderio del malato, le aspettative e i bisogni, si lavora proprio sulle caratteristiche cliniche che
accompagnano l’insufficienza renale: astenia, esauribilità
allo sforzo, deficit mnestici, sonnolenza, riduzione
dell’appetito, nausee, bassa motivazione. e al fine di far
arrivare il messaggio che si interviene sulla difficoltà ma
non si dimentica la persona.
I Gruppi hanno l’obiettivo di favorire la socializzazione,
aumentare il confronto, aumentare le risorse, abbassare
le difese e tutto ciò che consenta il mantenimento delle
attività precedenti alla situazione dialitica.
4.2.2 Strumenti del lavoro con familiari e
pazienti.
• Gruppo self-help. La scelta di riunire un piccolo
gruppo di malati e i loro parenti dipende dall’utilità
di rendere più facilmente superabili situazioni
di disorientamento e paura se sono condivisibili
con persone che si trovano in un contesto identico.
Inoltre si determina un migliore equilibrio comunicativo-
relazionale se anche i pazienti si percepiscono
come gruppo. Il fine quindi non è ristrutturare la
persona ma condividere.
• Lavoro di gruppo con le coppie genitoriali di pazienti
giovani e il lavoro con il caregiver.
• Sul fronte delle relazioni familiari, nella dialisi i componenti
del nucleo vengono coinvolti attivamente
nella gestione del trattamento (non solo nel supporto
“umano”) e tale carico risulta a volte erosivo
dei legami, generando sensi di colpa, frustrazione,
depressione nel caregiver e destabilizzazione degli
equilibri familiari. Chi si prende cura di un malato
cioè il caregiver sia esso un familiare, un operatore
o un volontario, per poter essere un efficace “curante”,
deve conoscere la malattia e le conseguenze
che essa ha nel comportamento del malato. È necessario
che acquisisca conoscenza e competenza
per essere in grado di affrontare tutti gli ostacoli
che la vita quotidiana con il malato presenta. “Fare
il caregiver” è sicuramente un lavoro che occupa
molto tempo, con le prevedibili conseguenze su
tutti gli aspetti della vita, soprattutto nel caso in cui
il caregiver sia un familiare. Ecco allora che diventa
fondamentale tutelare se stessi e il malato di cui si
è responsabile.
• Colloqui con pazienti di entrambi i settori per il
confronto di esperienze.
Normalmente le persone non conoscono la tecnica dialitica
e di conseguenza spesso il timore riguarda anche
la metodologia in sé, oltre che la preoccupazione per
le conseguenze. Si propongono quindi incontri tra il
medico che si occupa del pre-dialisi, un infermiere, una
dietista e uno psicologo, paziente e loro familiari. 4.2.3 Obiettivi del lavoro con familiari e pazienti.
La persona che sta per iniziare il trattamento dialitico sa
che le sue abitudini saranno modificate, talvolta sconvolte
in modo drastico; il soggetto tende a percepirsi
come handicappato, invalido, immagina il suo futuro
stato come qualcosa che lo emarginerà dal mondo,
dagli affetti. Considerare questo insieme di fattori è
fondamentale poiché possono avere un grosso peso
sull’evoluzione della malattia. Tra gli obiettivi, dunque,ci
sono quelli di accogliere il malato, la presa in carico, ricondurre
il paziente alla realtà, fornendo un supporto
emotivo, rassicurando senza nulla togliere alle difficoltà
del momento.
4.2.4 Durata del lavoro con familiari e pazienti
2-3 incontri per la condizione predialitica, in parte informativi,
conoscitivi ed in parte per intervenire nel modo
più adatto ed efficace per la persona.
4.3 Gestione dello stress del personale sanitario
Il progetto è strutturato attraverso colloqui psicologici
rivolti al personale sanitario,al fine di migliorare la
comunicazione tra gli operatori, formare e prevenire il
Burn-out del personale.
4.3.1 Modalità dell’intervento
Si utilizzeranno gruppi a carattere espressivi-supportivi
formati da un minimo di 7 a un massimo di 10 persone
a cadenza mensile la cui durata è di 2 ore per gruppo.
All’interno dei gruppi verranno accolti ed elaborati i vissuti
e lo stress degli operatori sanitari in riferimento ai
pazienti dializzati e ai loro familiari.
4.3.2 Strumenti dell’intervento
• Colloqui clinici di gruppo;
• Colloqui individuali (test sulla valutazione dello
stress);
• Training sull’assertività. (Trovare un bilanciamento
tra i vostri bisogni e quelli degli altri).
4.3.3 Obiettivi dell’intervento dell’intervento
Fare emergere le problematiche degli operatori sanitari,
imparare a gestire tali problematiche, facilitare la
comunicazione.
4.3.4 Durata dell’intervento
Numero totale di incontri 10
4.3.5 Risultati attesi
Complessivamente tutto l’intervento avrà una durata di
12 mesi parte a gennaio e finisce a dicembre.
Tale progetto integrato avrà garantito il raggiungimento
degli obiettivi attesi se la comunicazione, usata
come strumento di lavoro, svilupperà di conseguenza
l’ascolto del paziente da parte dell’operatore e l’ascolto
dell’operatore da parte di se stesso. Il medico e l’infermiere
non devono dimenticare di essere persone, è fondamentale
che non si identificano in modo rigido con
il ruolo, perdendo di vista la loro dimensione umana e
personale. Asetticità non è sinonimo di professionalità
come spesso si vuol credere; trasformare il paziente e il
sanitario in due ruoli, spogliando entrambi della loro dimensione
umana, significa rallentare la guarigione dei
primi e frustrare i secondi.
Vorrei evidenziare la centralità dell’esperienza della
morte per l’essere umano. Il paziente cronico, infatti,
deve affrontare con la malattia una battaglia che non
può essere vinta in modo definitivo, poiché non è la
guarigione, ma la possibilità di ritardare la morte. L’infermiere
e il medico che trattano i pazienti cronici, contrastano
la morte con il trattamento, che rappresenta il
contatto con la vita. Questo è l’aspetto importante che
innesca dinamiche profonde e relazionali importanti.
CONCLUSIONI
Quello che propongo, in questo articolo è un nuovo
modello formativo, nato dall’interesse per una realtà
che ha tanto bisogno di sostegno. Una realtà recuperata
da me, sia come dimensione didattica in senso di
trasmissione di concetti e strumenti teorici, consegnatemi
in modo spontaneo e naturale da tutte le persone
che lavorano in modo coraggioso nell’ambulatorio
Servizio Nefrodialitico Tike di Siracusa, sia come dimensione
esperienziale necessaria per poter intraprendere
una formazione sulle competenze relazionali e di ruolo,
per lavorare sulla dimensione della costruzione di una propria identità lavorativa.
Nel modello di intervento, faccio riferimento a paradigmi
psicologici che vedono l’individuo in relazione costante
con il suo contesto, nel quale proietta desideri,
aspettative e modelli comportamentali, producendo
delle dinamiche dette “collusive”, caratteristiche di ogni
cultura organizzativa o di rappresentazioni di modelli
professionali da sviluppare con la formazione.
A tal fine, ritengo che occorra garantire un’area di spazio
per la pensabilità del proprio percorso, che permetta di
riflettere sui propri modelli culturali e comportamentali,
sulle proprie aspettative, sui propri bisogni, sui propri
orientamenti e di dialogare, esplorare, sospendere il
giudizio, aiutare chi aiuta, dando uno strumento in più
per incrementare nell’altro la capacità di essere in rapporto
emotivo con la sofferenza.
A tal proposito, cito le parole del Dott. Salvatore Gianni,
Medico Primario dell’Ospedale Umberto I di Siracusa
(ora in pensione): “(…)Quello che serve è il coraggio e l’avvicinarsi al paziente e chiedere come stai? Cosa è
successo a casa?(…). Questo significa che chi lavora con
la malattia cronica, con l’inguaribile, deve sentirsi libero
di essere se stesso con il paziente, di usare tutte le sue
esperienze passate e tutte le abilità attuali senza troppa
inibizione. Nello stesso tempo, deve essere pronto ad affrontare
le obiezioni e le critiche serrate dell’altro. Sebbene
ogni rapporto e ogni discussione con il paziente,
il familiare, il collega siano chiaramente una tensione e
uno sforzo, il risultato è quasi sempre un ampliamento
delle proprie opportunità individuali e una migliore
comprensione dei problemi”.
Ringrazio il Dottor Michele Gianni, general manager
della struttura, che ha accettato con grande entusiasmo
ed interesse questa nuova frontiera dell’intervento
strategico di cui l’organizzazione diventa una bandiera
portante, quindi all’avanguardia.

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