LE METAFORE E GLI ANEDDOTI
di Mauro Cozzolino
“Un giorno una bambina, dopo aver assaggiato per
la prima volta un bicchiere di acqua gassata disse:
Sa di formicolio dei piedi” (Weick, 1993). Con quali altre
parole si può spiegare meglio l’essenza dell’acqua gassata.
Ecco una metafora, chiara ed immediata.
La metafora è una figura retorica, grazie a cui si esprime,
attraverso una similitudine, una cosa diversa da quella
nominata. Si tratta di una figura del discorso che consente
il trasferimento di un termine, dall’oggetto che
esso, generalmente, designa, ad un altro indicato per
paragone implicito o per analogia.
Le metafore danno elasticità, bellezza e forza al nostro
linguaggio, ma hanno anche una importante valenza
comunicativa, che va, ben al di là, del semplice artificio
estetico-linguistico.
Mary Catherine Bateson sostiene che “Ogni persona è la
propria metafora fondamentale” (1972, p.285). L’originale
proposta, mette in risalto, la possibilità che ognuno di
noi ha di comprendere il mondo, attraverso la metafora
del “Me”, ovvero vedendo l’altro e dicendo : “E’ un Me”.
Accanto a M.C. Bateson, altri autori, come Ortony (1975),
hanno contribuito a definire il ruolo fondamentale della
metafora, in termini comunicativi. La metafora apre
scenari d’intervento comunicativo, molto preziosi per la
regolazione dei rapporti interpersonali e professionali.
Le metafore sono un fondamentale e, a volte, indispensabile
strumento del nostro repertorio comunicativo,
ma hanno caratteristiche diverse rispetto ad altre forme
di comunicazione.
La prima riguarda la possibilità di offrire versioni intense
e compatte delle situazioni, senza implicare una necessaria
ed ulteriore spiegazione dei dettagli e del senso
della nostra affermazione (Orthony, 1975).
La metafora, infatti, “permette l’enunciazione in una parola
o due, di una serie di caratteristiche, enunciazione
che altrimenti richiederebbe una lunga lista di caratteristiche
singolarmente enunciate” (Orthony, 1975, p.49).
Un’altra importante caratteristica è la possibilità di presentare
caratteristiche non, definite, a cui non si è ancora,
in grado, di dare un nome (Weick, 1993). E’ il caso,
in cui, di fronte ad un impasse, non troviamo le parole
adeguate per esprimerci. In questa situazione, per chiarire
quello che non riusciamo ancora, letteralmente, ad
illustrare, se siamo bravi e anche un po’ fortunati, ci vengono
in aiuto le metafore.
In tal senso, le metafore non sono mai un errore (Percy,
1975), perché racchiudono il quid, la natura essenziale di qualcosa. La metafora non viene utilizzata, semplicemente,
per trasferire una caratteristica da un oggetto
all’altro, quando è già chiaro il modo letterale di dire
quella cosa, ma per illustrare ciò che non è ancora esprimibile.
Un’ulteriore caratteristica della metafora che, la definisce
uno strumento comunicativo, di grande rilevanza,
è costituita dal fatto che è molto vicina all’esperienza,
percepita dalle persone, e ed ha una forte valenza emozionale,
sensoriale e cognitiva (Orthony, 1975).
Le metafore non costituiscono mai un errore, tuttavia,
esistono alcuni inconvenienti legati all’utilizzo di questo
tipo di strategia. Essa può diventare una difficoltà,
quando, trovatane una, viene utilizzata, sempre allo
stesso modo, in modo rigido.
Questo uso erroneo della metafora suggerisce agli altri,
una possibilità limitata di immaginazione nella situazione,
rendendo difficile l’individuazione di soluzioni
alternative.
Una volta George Orwell disse: “Esiste una quantità
enorme di metafore già logore che hanno perduto il
loro potere evocativo e che vengono usate perché risparmiano
alla gente la fatica di inventarsi delle frasi
nuove”.
Le decisioni che prendiamo e le valutazioni che facciamo
risentono, in modo sostanziale, della cornice in cui
collochiamo il problema. Ecco perché, quando tentiamo
di inquadrare un problema per risolverlo, non esiste un
momento “obiettivo, in cui vediamo la situazione problematica,
così come è, e un momento di valutazione
che risentirebbe della nostra soggettività e dei nostri
valori. La valutazione e la decisione, incominciano a
prendere forma già, nel momento in cui guardiamo il
problema in un certo modo. Metafore diverse raccontano
storie diverse, stimolando visione diverse di uno
stesso problema che, poi, indurrà azioni e comportamenti
diversi.
In questo senso, la metafora gioca il ruolo di “quadro”, di
“cornice”, in cui un limitato numero di soluzioni si collocano
per fronteggiare e risolvere determinati problemi.
Muoversi all’interno di una sola metafora, ancor più,
se rigida, significa orientare o, a volte, costringere le
persone a leggere la situazione, in un certo modo, ad
aspettarsi un tipo di risposte, ad incarnare precisi ruoli
o comportamenti, indicendo un clima predefinito. Non
sorprende che le persone, si muovano, in modo stereotipato,
quando, ab initio viene, a loro, proposta un’unica
metafora dell’oggetto o della situazione.
L’utilizzo di una metafora, unica ed isolata, riduce il campo
delle possibilità, trasformando le tante forme, che
possono essere assunte dall’altro, in un solo copione, in
un dejà vu, che, con il tempo, diventa ripetitivo e sterile.
L’uso persistente di un’unica metafora costituisce un
problema che, inevitabilmente, porta le persone a non
intravedere e immaginare un organizzazione diversa
da quella presente nella metafora. Questo consente la
previsione o limitazione del campo d’azione dell’altro,
anziché stimolare, in modo creativo, la varietà delle opportunità.
Un uso standardizzato della metafora, fa in modo che
il rapporto con se stesso e gli altri si delinei come “un
prendere a prestito soluzioni vecchie e impersonali”,
negandosi la possibilità di costruirne, in prima persona,
delle nuove.
L’assenza di metafore o l’impiego rigido di esse, nella
comunicazione con l’altro e con se stesso, dà valore
alla tranquillità, ma meno alla discussione, incoraggia
le convinzioni assolute, e meno al dubbio, difende la ripetizione
delle azioni passate, escludendo quelle nuove
ed innovative.
Quando ognuno di noi, si muove all’interno di una metafora
o di una storia unica, come portatore di una verità
assoluta, automaticamente e inconsapevolmente,
sta riducendo la sua possibilità di intravedere i nuovi
comportamenti, le risorse presenti, e di stare insieme
agli altri per fronteggiare i problemi.
La metafora, quando non diventa rigida e immodificabile,
è un utile forma comunicativa. Il cambiamento delle
nostre metafore sugli eventi, consente la ristrutturazione
del nostro campo cognitivo e comportamentale.
Vedere una stessa situazione, con occhi nuovi e in una
diversa prospettiva, è un po’ come vedere un paesaggio
in momenti differenti o da posizioni, angolature e distanze
diverse.
La metafora, come strategia comunicativa, va utilizzata,
in modo dinamico e creativo. Soltanto, così potrà divenire
un potente strumento comunicativo, in grado di
modificare la realtà personale e professionale, di ognuno
di noi.
La ricchezza della metafora, non è solo di tipo comunicativo,
ma è anche nel suo definirsi, come possibile
strumento di ristrutturazione del Sé e delle situazioni
problematiche.
La metafora può servire a distrarre l’altro, facendo in
modo che focalizzi la sua attenzione su qualcosa, come
la storia, che poi non è così importante, come l’altro è
portato a credere. L’uso strategico della metafora e
del raccontare storie, in genere, sta nella possibilità di
fare qualcosa di importante, senza che la nostra azione
venga notata. In questo modo, si riduce la probabilità
che si attivino delle resistenze e degli impedimenti che
andrebbero a limitare lo stesso processo comunicativo
e relazionale. L’arte della narrazione, intesa come problem
solving, è un po’ come l’arte del prestigiatore, che
sposta l’attenzione su dettagli poco rilevanti per poi,
mettere in atto a nostra insaputa azioni ben più impor-tanti.
Il famoso ipnotista e psicoterapeuta Milton Erickson, era
uno straordinario specialista in questo. I suoi racconti
erano tanto formidabili da offrire agli ascoltatori, innumerevoli
apprendimenti, o spunti per il cambiamento,
senza che loro se ne accorgessero (Erickson, 1983). In
realtà, i racconti di Milton Erickson erano, strumenti comunicativi,
raffinatissimi, orientati ad indurre una nuova
visione di sé e del mondo, al fine di determinare un
vero e proprio cambiamento terapeutico.
Il linguaggio evocativo è, da secoli, il modo di comunicare
preferito dai grandi leader religiosi, dai dittatori, dai
rivoluzionari o dai grandi poeti. Pensiamo alle parabole
di Cristo, ai racconti della tradizione indiana, agli aneddoti
su Budda o alla propaganda di massa, operata da,
Hitler , Stalin e Mussolini. Oggi, il linguaggio evocativo, è
molto diffuso, soprattutto, nella pubblicità quando, con
il suo uso, si inducono scelte, opinioni o comportamenti,
finalizzati all’acquisto di un prodotto. Come dimenticare
quegli slogan, per esempio “Life is now”, che accompagnano
i prodotti commerciali, al fine di evocare fantasie
e desideri, che poi, inconsapevolmente, saremmo portati
a soddisfare, proprio attraverso il consumo di essi.
Dal punto di vista comunicativo, questo accade quando
guidando l’interlocutore verso alcuni aspetti del nostro
argomentare, agiamo, indirettamente, su ciò che lui ritiene
marginale.
Immaginiamo una figlia adolescente, che ha l’obiettivo
di fare tardi, la sera, ma che è consapevole che suo padre
è molto rigido e severo. Allora, la ragazza può raccontargli
una storia, sotto forma di metafora o aforisma,
che riguarda i suoi dubbi, le difficoltà scolastiche e la
sfiducia sul futuro professionale.
A questo punto, visto che il papà ritiene fondamentali
questi aspetti, il gioco è fatto. Basta lasciar decantare il
tutto per qualche minuto, per poi, dare l’affondo, chiedendo
al papà, se può fare tardi la sera.
Dopo questo lavoro da prestigiatore, le probabilità che il papà acconsenta al permesso, sono molto elevate. Infatti,
il padre, riterrà irrilevante il vincolo dell’orario, di
fronte a questioni più importanti, come il futuro scolastico
e professionale della figlia (Nardone, 2003). A questo
punto, sia il padre che la figlia, saranno contenti di
andare oltre l’eccessiva rigidità di un regola abituale.
Questo è il tipico esempio di come, impiegando le strategie
comunicative della narrazione, si possono “estorcere”
delle risposte affermative.
In questo caso, il comunicare, produttivamente, sta nel
fatto che l’“inquadramento” della situazione, in un’ottica
problematica, operato dalla ragazza, avviene, esclusivamente,
in modo indiretto, altrimenti, tutto darebbe
vano.
Le metafore e gli aforismi, possono essere molto potenti,
in chiave strategica, proprio perché agiscono, in
maniera indiretta.
La metafora non è, semplicemente, un modo di dire le
cose, ma è soprattutto un modo per percepirle, classificarle
e valutarle. Ecco perché quando sentiamo dire a
qualcuno “Il mio matrimonio è una prigione”, avvertiamo
subito che, per questa persona, il matrimonio e la
prigione, avendo numerose caratteristiche in comune,
fanno parte di una stessa categoria.
La metafora non è un paragone, in cui si dice che una
cosa assomiglia all’altra, ma si definisce un oggetto, il
matrimonio in quanto prigione. Il matrimonio non è
come una prigione, ma è una prigione, il che rende molto
diverso l’effetto e il significato della comunicazione.
Le metafore sono così importanti per le decisioni che
prenderemo, perché fungendo da cornici ci aiutano ad
orientarci nelle situazioni e a comunicare.
Ne abbiamo bisogno, soprattutto, quando ci troviamo di
fronte a situazioni nuove che non conosciamo. In questo
caso, anche se la metafora può rivelarsi più o meno
adeguata, risulta essenziale per dare una chiave di lettura
dell’esistente, di cui non possiamo farne a meno.
Inoltre, le metafore che le persone usano per impostareun problema, influenzano, in modo decisivo, anche la
soluzione trovata. Esiste, quindi, una stretta connessione
tra problem setting e problem solving, ben visibile
nell’azione che la metafora impone.
Sarebbe un grave errore, non comprendere che ogni interpretazione
o valutazione della realtà, si muove all’interno
di un quadro relativo e personale di significati.
Chi pensa di vedere le cose, così come sono, e non da un
particolare punto di vista, non toglie soltanto, a sé, importanti
possibilità di crescita, ma rende difficile l’incontro
e l’adattamento con le persone, rifiutando qualsiasi
forma di negoziazione.
Non ammettere che esistono possibili modi alternativi
di vedere le cose, ci induce a cadere in una grave trappola,
molto pericolosa, nell’ambito delle relazioni interpersonali
e professionali.
Le strategie della narrazione (la metafora, l’aforisma o
l’analogia), possono agire, invece, sia sul processo comunicativo,
rendendolo più fluido e costruttivo, sia sulla
relazione interpersonale, orientandola verso una maggiore
gratificazione per tutti.
Bibliografia
Erickson Milton H., (a cura di) Rosen Sidney., La mia voce ti accompagnerà, Astrolabio, Roma, 1983.
Nardone G., Cavalcare la propria tigre, Ponte alle grazie, Milano, 2003.
Orthony A., “Why Metaphors Are Necessary and Not Just Nice”, Educational Theory, 25, n.1/1975, pp.45-53.
Percy W., The Message in the Bottle, Farrar, Straus and Giroux, New York, 1975.
Weick K., Organizzare, Isedi, 1993, Torino.
Goffman E., La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna, 1969.