LA TERAPIA STRATEGICO INTEGRATA
LA TERAPIA STRATEGICO-INTEGRATA
di Simona Balocco
1.1 Fondamenti storici
del modello strategico integrato
Il modello strategico integrato nasce come evoluzione
della terapia breve strategica. Per terapia strategica,
si intende “un intervento terapeutico usualmente
breve, orientato all’estinzione dei sintomi e
alla risoluzione del problema presentato dal paziente”
(Watzlawick, Nardone, 1990, pag.64). Gli psicoterapeuti
ad orientamento strategico si pongono come obiettivo
il cambiamento, concordato con il paziente utilizzando
le strategie più idonee affinchè tale cambiamento si verifichi
nel minor tempo possibile.
La storia della terapia strategica inizia con il gruppo di
studio di Palo Alto (California)ad opera di Gregory Bateson,
Jhon Weakland, Jay Haley e William Fry. Il gruppo
ottenne un finanziamento per effettuare uno studio
sulla comunicazione. Le teorie elaborate dal gruppo di
studio portarono ad un cambiamento nella concezione
della comunicazione e della psicoterapia in generale.
Nel 1942, nel corso di vari congressi, vennero gettate
le basi per una nuova disciplina nominata “cibernetica”,
che metteva in crisi la logica aristotelica di causalità lineare
per introdurre nuovi concetti quali sistema, retroazione
etc., applicabili anche nel campo delle scienze
sociali, comportamentali e psicologiche.
Bateson in particolare introdusse nuovi concetti nella
psicologia quali l’impossibilità di non comunicare, l’influenza
dell’osservatore e quindi il processo di costruzione
di ogni realtà, la comunicazione come strumento
di costruzione della realtà all’interno delle relazioni interpersonali
che avvengono all’interno di sistemi. Pertanto
dallo studio dei processi intrapsichici si pose l’accento
su quello del sistema di relazioni. Bateson viene
considerato il padre della terapia sistemica ad orientamento
familiare (Secci, 2005).
Un contributo significativo alla terapia strategica proviene
dall’opera di Milton Erikson. Tramite lo studio del
lavoro di Erickson – inizialmente da parte di Jay Haley
e John Weakland – si poté constatare come l’approccio
terapeutico di Erickson consistesse nell’applicazione
pragmatica delle idee che si stavano sviluppando a
Palo Alto con il progetto di ricerca promosso da Bateson
intorno ai “paradossi dell’astrazione nella comunicazione”.
In effetti le prescrizioni paradossali utilizzate
da Erickson erano in linea con i principi matematici della
teoria dei tipi logici da cui si sviluppò il modello di
doppio legame, con la teoria dei sistemi e con la cibernetica.
Per esempio Erickson comunicava a più livelli,
prescriveva il sintomo o incoraggiava paradossalmente
la resistenza, entrava in contatto con un solo paziente
e finiva per curare l’intera famiglia, faceva ampiamente
ricorso all’”effetto valanga” ecc. In seguito, grazie allo
studio dell’approccio Ericksoniano e grazie agli ulteriori
contributi di Paul Watzlawick, Richard Fisch e Don Jackson,
si è messo a punto un modello di terapia breve
strategica. In Italia, G. Nardone rappresenta l’esponente
principale del modello strategico brev
1.2 Fondamenti teorici
del modello strategico integrato
La terapia strategica integrata si basa sugli assunti elaborati
dalle teorie costruttiviste e costruzioniste. Secondo
Kelly (1955), autore del libro “Psicologia dei Costrutti
Personali” e esponente di rilievo del costruttivismo, la
realtà non può essere considerata come un’entità oggettiva,
indipendente dal soggetto che ne fa esperienza,
ma come una creazione del soggetto stesso che
partecipa, quindi, in maniera attiva alla sua costruzione.
La conoscenza e l’esperienza umane, sono quindi
caratterizzate da una partecipazione attiva dell’individuo
che è al tempo stesso costruttore e ordinatore della
realtà nel modo a lui più utile e funzionale. Questa
concezione dell’esperienza umana ha due implicazioni
fondamentali: prima di tutto è messa in discussione la
possibilità di una conoscenza oggettiva, indipendente
dall’osservatore e l’osservazione diretta dei fenomeni
non è più un mezzo privilegiato di conoscenza obiettiva;
in secondo luogo, emerge l’impossibilità di una
distinzione netta tra colui che osserva e chi è osservato,
poiché entrambi si definiscono come tali attraverso una
reciproca interazione. L’approccio costruttivista, quindi,
tiene in considerazione il punto di vista di chi osserva,
sottolineando il fatto che ciò che viene osservato non
sono cose, proprietà o relazioni che esistono in modo
indipendente, secondo una logica che considera il sapere
ricevibile in modo passivo, ma delle distinzioni effettuate
dall’osservatore stesso in seguito alla propria
attività sull’ambiente, quindi il risultato delle azioni di
un soggetto attivo. Ecco allora che la realtà è creata da
noi, dal nostro continuo esperire con essa, nei processi
di interazione e attraverso processi di attribuzione di significato
alla nostra esperienza.
Il costruzionismo, seguendo la stessa ottica, mette l’accento
sulla genesi dei costrutti ed in particolare evidenzia
gli stessi sono frutto dell’interazione tra gli individui,
sono storie o significati condivisi che permettono alle
persone di funzionare come gruppo. Pertanto frutto di
negoziazione tra persone all’interno di un dato contesto
e di un dato momento. In tal senso, diviene fondamentale
la cultura di riferimento e la storia (De Koster
et al., 2004).
Già J. Bruner (1992), nei suoi lavori di matrice cognitivista,
presupponeva che alla base dell’azione umana e
perciò della sua intenzionalità ci siano aspetti di origine
strettamente culturale. La cultura, perciò, impone
modelli che fanno parte dei suoi sistemi simbolici: tra
questi le modalità linguistiche e di discorso e le forme
di spiegazione logica e narrativa. Di conseguenza, i significati
condivisi all’interno di una stessa cultura indirizzano
le azioni umane individuali e le danno un senso.
A fronte di tali premesse, la comunicazione riveste un
significato fondamentale in quanto si pone come mezzo
di interazione tra gli individui e quindi di conseguenza
come mezzo di costruzione di concetti, organizzatori
della realtà. Aderendo a tali modelli, l’approccio strategico
integrato pone particolare attenzione alla comunicazione,
in quanto all’interno di questa e attraverso
questa è possibile condividere ed elaborare significati.
L’importanza data alla comunicazione nell’approccio
strategico integrato prende in considerazione ogni forma
di comunicazione, pertanto anche la comunicazione
non verbale entra a pieno titolo nell’area di studio
dell’approccio, configurandosi sia come strumento di
lettura che come promotrice di cambiamento a disposizione
del terapeuta. In questa area,in particolare, il
modello strategico si avvale dell’approccio PNL (Programmazione
Neurolinguistica) sviluppato negli anni
’70 da Richard Bandler e John Grinder. Il modello strategico
integrato quindi si concentra sulla comunicazione
umana in quanto capace di costruire relazioni e influenzare
processi di cambiamento. L’aggettivo “strategico”
infatti designa una terapia improntata sulla “pianificazione
tattica del cambiamento e sull’utilizzo accorto
di strumenti per la soluzione di problemi umani” (E.M.
Secci,2005,pag.1) intendendo la psicoterapia strategica
come “arte del cambiamento” (Nardone, Watzlawick,
1996, pag.26). G. Gulotta (1997)citando Haley afferma:
“si parla di terapia strategica quando il terapeuta mantiene
l’iniziativa in tutto quello che si verifica nel corso
della terapia ed elabora una tecnica particolare per
ogni singolo problema”. Ed ancora: “l’iniziativa è quasi
sempre nelle mani del terapeuta che deve individuare
i problemi da risolvere, stabilire gli obiettivi, progettare
gli interventi per raggiungere tali obiettivi, valutare le
risposte che riceve per correggere il suo approccio e, infine,
esaminare i risultati per vedere se la terapia ha avuto
un buon esito”. (pag.161). La capacità del terapeuta
strategico di influenzare processi di cambiamento implica
una riflessione rispetto a quest’ultimo concetto,
elaborata dagli autori di “Change” (1974). Secondo Paul
Watzlawick, John H. Weakland e Richard Fisch occorre
distinguere due tipi di cambiamento. Traendo spunto
dai postulati della teoria dei tipi logici, gli autori concludono
che “il passaggio da un dato livello a quello
immediatamente superiore (cioè da un elemento ad
una classe) comporta uno spostamento, un salto, una
‘rottura’ o trasformazione, in breve un cambiamento,
della massima importanza teorica e pratica, perché ci
da la possibilità di uscir fuori da un sistema”(pag.26).
Da ciò ne consegue che “ci sono due tipi diversi di cambiamento:
uno che si verifica dentro un dato sistema il
quale resta immutato, mentre l’altro -quando si verificacambia
il sistema stesso”. Gli autori a questo punto distinguono
due tipi di cambiamento, definendoli come
cambiamento 1 e cambiamento 2. Il cambiamento di
tipo 1, che fa riferimento alle premesse del sistema, una
volta messo in atto lascia il sistema invariato. Il cambia-
mento di tipo 2 che non fa riferimento alle premesse
del sistema quindi dall’interno del sistema può apparire
paradossale o assurdo cambia il sistema stesso.
La terapia strategica parte dal presupposto che il paziente
non è riuscito a risolvere la sua problematica
perché ha cercato la soluzione all’interno del modello
del mondo che ha prodotto il problema. Anzi, le tentate
soluzioni messe in atto dal paziente per risolvere
il problema non solo non hanno provocato il cambiamento
desiderato, ma “formano il problema che con la
loro applicazione si vorrebbe risolvere” (Watzlawick et
al., 1974, pag.29).Gli autori mettono in luce una serie di
tentate soluzioni che normalmente si mettono in pratica
al fine di risolvere i problemi che sono:
- ‘Più di prima’, ovvero quando la soluzione è il problema
- Le semplificazioni terribili
- La sindrome da utopia
Il primo passo della terapia quindi è la comprensione
del funzionamento del sintomo – inteso come un sistema
cibernetico – nella situazione attuale della persona.
Trovato il modo in cui si mantiene il problema si può
passare a un intervento paradossale e indiretto che
contribuisca alla “rottura del sistema percettivo-reattivo
“rigido” del soggetto attraverso la rottura del meccanismo
contorto di “tentate soluzioni” che mantengono
il problema, e del groviglio di retroazioni interpersonali
che si vengono a costruire su questa base.” (Nardone,
Watzlawick,1999,p.36). L’approccio strategico utilizza
gli strumenti dell’oratoria e della retorica nella tradizione
ellenica del v secolo A.C. dei sofisti e dell’arte cinese
dello stratagemma (Trentasei stratagemmi ovvero L’arte
della guerra di Sunzi), cioè le antiche arti di risolvere
situazioni apparentemente irrisolvibili mediante l’uso
di stratagemmi e modi di comunicare suggestivi e persuasori.
In “Cavalcare la propria tigre” (1993), G. Nardone
racconta e analizza queste abilità attraverso le tre
tradizioni fondamentali che utilizzano gli stratagemmi
come strumenti essenziali per la realizzazione dei fini:
quella greca dell’astuzia, l’arte cinese della guerra e
quella retorica della persuasione.L’intervento del terapeuta
strategico è quello di produrre il cambiamento
2, quindi inserire all’interno della realtà del paziente gli
elementi che possono contribuire a fornire una nuova
punteggiatura in questa realtà.Milton H. Erickson, nella
Prefazione di “Change”(1974) in riferimento al proprio
lavoro di terapeuta, afferma “gran parte del mio lavoro
io l’ho considerato un modo per facilitare le correnti di
cambiamento già in fermento all’interno di una persona
o di una famiglia – ma sono correnti che necessitano
di una spinta ‘inattesa’, ‘illogica’, ‘repentina’, se si vuol sfociare
in un risultato concreto” (pag. 7). Lankton (1990)
ha riassunto in alcuni punti le caratteristiche della terapia
di Erickson:
- l’utilizzo di un modello non patologico
- la valorizzazione delle risorse della persona
- l’utilizzazione di ogni esperienza portata in
terapia dal paziente
- l’impegno del paziente a rendersi attivo al
di fuori delle sedute di terapia per produrre
nuovi comportamenti orientati al cambiamento
- l’impegno del terapeuta a pianificare interventi
personalizzati per ciascun paziente
Erickson riprende, nel lavoro terapeutico, antiche procedure
di guarigione come l’uso delle metafore “Esse
aiutano a indurre uno stato ipnotico e a curare il malato.
Se, sentendo una storia, il paziente manifesta improvvisamente
i segni di una trance, significa che il terapeuta
ha raggiunto il cuore del problema. La storia,
per essere ipnotica, deve avere rapporti metaforici con
il problema in questione, ma soprattutto non deve avere
con quello un rapporto razionale evidente, altrimenti
la mente conscia se ne approprierebbe per dissertare.
Le metafore consentono di aggirare le resistenze che
il paziente oppone al cambiamento: sono un modo
indiretto di suggerire delle piste di soluzione all’inconscio”
(Megglé,D., 1998, pp.125-126). Anche l’uso
di prescrizioni paradossali, di compiti a casa, di rituali,
impartiti al cliente da una parte impegnano la mente
conscia dall’altra evocano un cambiamento e sono carichi
di significati simbolici. Produrre il cambiamento:
scopo del terapeuta. Secondo Erickson e il Gruppo di
Palo Alto, il maggior veicolo di cambiamento è l’”azione”.
Attraverso il fare è possibile fare nuove esperienze,
introdurre nuove modalità, rompere vecchi schemi
cognitivi e comportamentali e avviare un processo di
“amplificazione” delle possibilità e delle scelte che il paziente
può attuare. In tal senso, l’approccio strategico
utilizza le prescrizioni. Le prescrizioni comportamentali,
costruite su misura per quel paziente, attraverso l’utilizzazione
del materiale fornito dal paziente stesso. Tali
prescrizioni “devono essere ingiunte in un linguaggio
lento e scandito, ripetendo varie volte l’ingiunzione, e
presentate al paziente negli ultimi minuti della seduta.
In effetti, come nell’induzione ipnotica, quanto più il terapeuta
riesce a caricare di suggestione la prescrizione,
tanto meglio questa sarà eseguita e maggiore sarà la
sua efficacia.” ( Nardone, 1999, p. 98).
Una tecnica strategica è l’utilizzazione che consiste nel
servirsi di ciò che il paziente offre, difese incluse, comunicando
con lui nel suo stesso “linguaggio”. In tal senso
anche la resistenza al cambiamento messa in atto
dal paziente può essere utilizzata. In terapia utilizzare
in modo creativo ciò che c’è già vuol dire diventare
padroni del sintomo rispecchiandolo, prescrivendolo,
apportando piccoli cambiamenti, utilizzandolo o sostituendolo
con un altro sintomo meno inabilitante che
tuttavia soddisfa gli stessi bisogni di fondo.
Un’altra delle tecniche utilizzate da M. Erickson consiste
nel provocare un cambiamento in una parte del sistema
in modo tale che lo stesso crei cambiamenti anche
nel resto del sistema, secondo i principi della cibernetica.
Erickson a una ragazzina di dodici anni che aveva
avuto una paralisi e non riusciva a muovere le braccia
disse di cominciare col mettersi davanti allo specchio
a fare delle boccacce (in questo modo contraeva indirettamente
i muscoli del petto). La ragione di questo
strano intervento è presto detta, da un lato aggira la
resistenza, dall’altro inizia da un piccolo cambiamento
per diffonderlo indirettamente altrove: “Ora, quando si
comincia a far muovere un muscolo, il movimento tende
a diffondersi a tutti i muscoli. Provate a muovere solo
un dito. Il movimento comincia a diffondersi, senza che
lo vogliate.” (Erickson, 1982, p. 105). Gulotta definisce
tale effetto, “effetto farfalla” (1997,p.165).
Un passaggio importante utilizzato da Erickson nel
lavoro terapeutico è quello dell’indurre il paziente in
confusione. Attraverso questa, il terapeuta può agire
per riorientare il paziente secondo nuovi schemi e modelli.
Tramite questa tecnica, Erickson disorientava la
persona e poi la riorientava nel futuro proiettandola in
qualche data dove il suo problema sarebbe stato risolto.
Da quella posizione privilegiata la persona poteva
volgersi indietro e rivedere lo svolgimento progressivo
degli eventi che l’avrebbero condotta al successo, poteva
assaporare questo successo e questo cambiamento
superando lo stato problematico presente. La tecnica
del “come se”: credere di aver già realizzato certi risultati
determina una retroazione del futuro sul presente
tale da riorganizzare i pensieri e comportamenti come
una profezia che si autodetermina. “Come Erikson fa
rilevare, il bisogno di uscir fuori dalla confusione per
trovare questo sistema nuovo rende il soggetto particolarmente
pronto a ascoltare bene e desideroso di
non lasciarsi sfuggire la prima informazione concreta
che gli viene data. La confusione, preparando lo stadio
della ristrutturazione, diventa un passo importante nel
processo necessario per mettere in atto il cambiamento
2 e ‘per mostrare alla mosca la via d’uscita dalla trappola’
“ (Watzlawick, 1974, pag.110). Dalla confusione
alla ristrutturazione:“Ristrutturare significa, dunque,
dare una nuova struttura alla visione del mondo concettuale
e/o emozionale del soggetto e porlo in condizioni
di considerare i ‘fatti’ che esperisce da un punto
di vista tale da permettergli di affrontare meglio la
situazione anziché eluderla, perché il modo nuovo di
guardare la realtà ne ha mutato completamente il senso….
La ristrutturazione non cambia i fatti concreti ma
il significato che il soggetto attribuisce alla situazione”
(Watzlawick,1974,pag 103-104). La ristrutturazione
quindi parte dal mondo del paziente e presuppone
“che sia il terapeuta a imparare il linguaggio del paziente”
(Watzlawick, 1974 , p.112). La ristrutturazione quindi
deve avvenire portando fuori il problema dalla struttura
del sintomo del paziente,ma per essere efficace solo
all’interno di una realtà che il paziente ha accettato e
condiviso. A quel punto, come sosteneva Wittgenstein
nelle sue Osservazioni sui fondamenti della matematica:
“Ma come può il nuovo gioco aver fatto cadere in disuso
quello vecchio? Ora vediamo qualcosa di diverso e
non possiamo più continuare a giocare ingenuamente
come prima” (tratto da Change, pag.108). A proposito
della ristrutturazione, Gulotta (1997) fa una distinzione
tra i termini ristrutturare, ridefinire e riclassificare, che
spesso vengono confusi e che in qualche area sono sovrapponibili.
Ridefinire significa cambiare una etichetta
negativa con una etichetta positiva. Riclassificare significa
cambiare alle parole il loro significato primario, ovvero
assegnare ad un atteggiamento o ad un problema
un termine diverso da quello abituale.
1.3 Differenze con il modello strategico
breve
L’approccio strategico integrato nasce e si delinea in
particolare come evoluzione dell’approccio strategico
breve, differenziando da quest’ultimo.
L’approccio integrato mette l’accento sulla complessità
della persona, prendendo in considerazione ogni persona
come unica e pensando ad un intervento flessibile
ed integrato in funzione della persona-paziente. A tale
scopo, il modello strategico integrato, che si caratterizza
proprio per la sua flessibilità data dall’adattare a
quel particolare ed unico paziente la terapia, si avvale
di diversi approcci, da quello sistemico a quello cognitivo
a quello psicodinamico: chiavi di lettura e strumenti
per il terapeuta da utilizzare con le tecniche più efficaci
e rispondenti alla persona del paziente. In tal senso,
l’approccio integrato lavorando sempre sul qui e ora
prende in considerazione il passato della persona (a differenza
dell’approccio strategico breve) soffermandosi
sulla sua storia, sul sintomo e sulla funzione del sintomo
nella storia della persona e su vari aspetti della persona,
non riconducibili solo al sintomo così come la terapia
non prende in considerazione solo quello. Seguendo
tale impostazione, pertanto, le prescrizioni e gli interventi
non sono standard, non esistono protocolli (che
pur possono essere utilizzati, ma non solo)in quanto il
terapeuta deve attraverso le varie tecniche utilizzare
nei vari momenti ciò che il paziente porta e quindi l’intervento
è personalizzato. Il terapeuta strategico integrato
pertanto fa riferimento alla diagnosi complessa,
che non prende in considerazione solo il sintomo (con
la relativa funzione) ma fa riferimento alla storia della
persona e alla persona nella sua complessità; per tale
motivo, l’approccio strategico integrato si prospetta
come una terapia con tempi più lunghi rispetto a quella
breve, dove la fase di consolidamento dei risultati e
dei cambiamenti raggiunti è importante come quella
del cambiamento, dove si lavora sulla predizione della
ricaduta e sul consolidare i cambiamenti avvenuti in un
percorso di sostegno.
L’approccio strategico integrato inoltre mira ad intervenire
in quell’area problematica rappresentata dai
momenti di crisi quali potrebbero essere i momenti
evolutivi dell’individuo, della coppia, del gruppo non
direttamente etichettabili come patologici in senso
diagnostico ma caratterizzati da momentanei “empasse”
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bibliografia
TERAPIA STRATEGICO INTEGRATA
20 21
L’evoluzione del pensiero e del lavoro di
Ernest Rossi è multidimensionale. (Vedi:
www.ErnestRossi.com). I suoi interessi
scientifici e terapeutici, in particolare
l’ipnosi terapeutica, lo hanno portato al suo incontro
personale ed ad una prolifica collaborazione con
Milton H. Erickson, nell’ultima decade della vita di
Erickson. Attualmente lavora, come editore, con coeditori
Roxanna Erickson Klein e Katherine Rossi, per
recuperare materiale non pubblicato, restaurandolo
ed ampliando “Collected Works of Milton H. Erickson”
raccolti in 16 volumi storici (Erickson Foundation
Press). L’intervista seguente stimola la curiosità del
lettore intorno a quelle idee che Rossi descrive come
basilari per la sua evoluzione. Spiega inoltre cosa lui
intende per “Scienza della genomica psicosociale
e culturale”, ancora in corso di creazione e
maturazione. Rossi definisce la genomica culturale
e psicosociale come “una nuova filosofia di vita
mediante l’esplorazione del significato profondo, ed
una scienza rivoluzionaria nell’approccio preventivo
e terapeutico della condizione umana. Lui crede che
la scienza della genomica psicosociale e culturale
“potrebbe diventare il fondamento scientifico
e filosofico per tutti i futuri studi di religione, di
esperienze spirituali e di guarigione mente- corpo.”
La nostra conversazione riguardo le tre attuali
idee rivoluzionari di Rossi, si focalizza su : 1) “La
trance generale da svegli” di Milton H. Erickson,
come ponte tra l’ipnosi tradizionale e la psicoterapia
moderna orientata in senso neuroscientifico; 2)
Il ruolo evolutivo dell’espressione genica e della
plasticità cerebrale che vengono attivati dalla
cultura dell’Arte, della Bellezza e della Verità; 3) Il
concetto dei neuroni specchio e la loro attivazione
mentre si sperimenta (si empatizza con) la novità,
l’arricchimento e l’esercizio. “La trance generale da
svegli” per Rossi è uno delle concetti fondamentali
del Collected Works of MHE (2008-2010 www.
erickson-fondation.org).
Marilia Baker (MB): pensieri riguardo la guarigione
della mente, del corpo, dello spirito e dell’anima.
Ernest Rossi (ER): L’evoluzione dei miei pensieri
riguardo la guarigione mente-corpo, ciò che io
chiamo ora “genomica psicosociale” ha avuto la
sua origine nella mia ultima sessione di psicoterapia
suggeritami da Milton H. Erickson, pochi mesi prima
del suo decesso nel 1980. Avevo chiesto a Milton
se lui “poteva utilizzare l’ipnosi per aprire la mia
mente per imparare tutto ciò che era necessario per
diventare un buon specialista di ipnosi terapeutica?”
La serie di tre immagini presentati qui provengono
da una registrazione video di quella sessione (con
il dott. Marion Moore, ultimo a destra). Illustra come
Milton utilizzava l’approccio della levitazione usando
un tocco facilitato per indurre l’ipnosi terapeutica per
aiutare me a Rispondere alla mia stessa domanda.
ER: In questo video Milton spiega il suo concetto di
“Trance generale da svegli” che adesso credo sia il
ponte naturale tra ipnosi terapeutica e psicoterapia
come noi la pratichiamo oggigiorno.
MB: Cosa intendeva per “ Trance generale da
svegli”?
ER: Quella è esattamente la domanda che ho
fatto a Milton in questo video ! Lui non aveva
mai descritto questo concetto prima in nessuna
delle sue pubblicazioni. Eppure è un intuizione
fondamentale nell’ambito del suo pensiero
sull’approccio naturalistico all’ipnosi terapeutica e
alla psicoterapia. Erickson descrive un caso clinico
dove ha utilizzato la sua “Trance generale da svegli”
quando non osava usare una evidente induzione
ipnotica . Ecco esattamente come andò il nostro
dialogo registrato (Erickson, 1980/2008):
Milton H. Erickson: Io non osai usare nulla tranne
la mia “trance generale da sveglio “.
“Ernest Rossi: “La trance generale da sveglio”?
Cosa intendi?
MHE: Tenendo la sua attenzione così rigidamente
che i suoi occhi non hanno mai lasciato il mio volto.
ER: In altre parole, la tua storia ha avuto un tale
impatto su lui da catturare la sua attenzione
(paziente di cui narra) – e tu chiami ciò “Trance
generale da svegli.” Quando una persona ti guarda
con quella intensità, quella che tu chiami “Attenzione
di risposta” tu senti che sono in uno stato di trance,
anche se sono apparentemente svegli?
MHE: Sì. Ma in realtà, ti rendi conto che quando
tu stai guardando una persona, il paziente, e loro
stanno facendo